Luciano Carrino - Universitas Forum, Issue 1, December 2008
CONCETTI CRITICI
GLOBALIZZAZIONE E SVILUPPO LOCALE

Sergio Boisier[*] e Giancarlo Canzanelli[°]

Introduzione: globalizzazione e sviluppo locale

La globalizzazione è stata brillantemente e metaforicamente descritta da García Canclini (1999) come un “oggetto culturale non identificato”; Baumann (1998) l'ha definita “un feticcio, un incantesimo, una chiave disegnata per aprire le porte di tutti i misteri presenti e passati”; Boisier, parafrasando il regista Luis Buñuel, l'ha chiamata “l'oscuro oggetto del desiderio” e “il fascino discreto della borghesia”; García Canclini, ancora, ha detto, con acuto senso dell'umorismo, che “tutto ciò di cui non è responsabile la corrente del Niño, è colpa della globalizzazione”.

I “globalisti” e i “territorialisti” si trovano faccia a faccia l'uno contro l'altro nella difesa delle loro argomentazioni. I primi[1] ritengono che l'economia globale, dominata dalle grandi imprese transnazionali, sia cresciuta. Le decisioni prese da queste imprese riguardo al luogo di produzione, oppure ad attività di ricerca e sviluppo, determinano in larga misura il tipo di attività economica che crescerà, e dove. Dunque, il livello locale territoriale diventa una sorta di “variabile dipendente” nella funzione di crescita innovativa.

I “territorialisti”[2] invece, sostengono che il livello locale stia diventando sempre più - e non meno - importante per quanto riguarda il suo contributo all'innovazione e alle tecnologie avanzate. I “globalisti” fondano la loro tesi sul fatto, ovvio, che una parte rilevante del capitale si stia concentrando e centralizzando a livello di economia internazionale, come molti dati confermano. Da questo consegue che località, regioni ed addirittura interi paesi vengono ridisegnati dall'economia globale e dai suoi attori: le imprese transnazionali.

Al contrario i “territorialisti” fanno riferimento alla presunta reazione dei consumatori all'omogeneizzazione dei beni e dei servizi scambiati sul mercato e al fatto che molte imprese vi hanno risposto attraverso la “specializzazione flessibile”, una strategia di innovazione permanente che tenta di adattarsi al cambiamento continuo anziché cercare di controllarlo. La specializzazione flessibile va di pari passo con la produzione su piccola scala e con il bisogno di “apprendimento collettivo”, che è grandemente facilitato dalla vicinanza territoriale, e che è una delle ragioni per la valorizzazione del livello locale.

Il punto è che entrambe le argomentazioni sono veritiere. La globalizzazione influenza la dimensione (ed inevitabilmente il luogo) delle unità di produzione in due modi opposti e simultanei. Le economie di scala favoriscono la grande dimensione e la concentrazione territoriale, mentre le economie di flessibilità analizzate da Storper (1997) e quelle di differenziazione danno vita ad attività disperse su piccola scala; tuttavia, in quanto le piccole unità di produzione che operano da sole sono caratterizzate da un'alta probabilità di fallimento, queste economie favoriscono anche la formazione dei cosiddetti distretti industriali o catene di valore.

Una breve ricerca empirica sarebbe sufficiente a dimostrare che la grande maggioranza delle persone trascorre la sua vita in uno spazio geografico di raggio non superiore ai 500 km. All'interno di questo spazio, le persone vivono, formano una famiglia, lavorano, hanno accesso all'istruzione e ai servizi sanitari, trascorrono il loro tempo libero e finiscono di solito per essere seppellite lì. È semplice arrivare alla conclusione che, per ogni individuo, la possibilità di realizzare i propri progetti di vita dipende in misura cruciale da cosa accade nel corso del tempo nel suo ambiente quotidiano.

L'importanza della dimensione locale è stata enfatizzata anche dal punto di vista della cultura e dell'identità, seppur all'interno di una dialettica globalizzata che emerge dal confronto tra la tendenza verso l'omogeneità tecnologica e culturale e quella che difende l'individuo e la comunità. Il giusto mezzo è espresso, piuttosto, dal termine “glocal”, neologismo creato da Robertson: “thinking global and acting local” (valido per le imprese) e “thinking local and acting global” (per le aree locali).

Gli effetti della globalizzazione

La recente crisi mondiale della finanza ha messo in luce l'effetto della profonda trasformazione che Pilhon (2004), identifica nel passaggio dal capitalismo fordista al «capitalismo azionario», che ha tre caratteristiche principali: è mondializzato, dominato dalla finanza, e si inscrive nell'ondata delle nuove tecnologie. Rimette inoltre in discussione due aspetti fondamentali del capitalismo fordista, cioè l'importanza delle politiche pubbliche e la priorità assegnata al mercato interno e alla dimensione nazionale. In questo nuovo quadro, i detentori del capitale finanziario, in particolare in seguito ai processi di privatizzazione, sono diventati gli attori dominanti nel controllo della finanza mondiale: l'entità dei movimenti di capitali internazionali cresce senza controllo e senza un rapporto diretto con la crescita degli scambi di beni e servizi su scala mondiale – che di fatto sono speculativi e a breve termine.

Lo Stato regredisce così fino al suo vecchio ruolo di Stato gendarme che assicura solo la sicurezza dei beni, delle persone e dei contratti, perché queste sono le sole merci utili al mercato e per le quali sarebbe dunque giustificato pagare un minimo di imposte.

Tale regressione e delegittimazione, come denuncia Laville (1999) viene giustificata anche dalle logiche burocratiche e centralizzatrici delle istituzioni redistributive, e dalla loro mancanza di incentivi per l’innovazione, che ha generato inerzia, clientelismo, aumento delle tariffe, peggioramento delle condizioni lavorative, danni ambientali, esclusione sociale.

Si e’ raggiunto il paradosso per cui l'“Occidente”, cercando felicità e benessere, trova in realtà solo povertà crescente, emarginazione, guerre e varie forme di malessere sociale. Dal Bosco (2004) presenta un unico dato emblematico: il reddito annuale delle 225 persone più ricche del mondo è più alto del totale dei redditi annuali del 47% della popolazione mondiale (2 miliardi e 500.000 persone).

Secondo Stiglitz (2003) il “Washington Consensus” è una delle cause principali della situazione attuale. Attraverso il sostegno incondizionato alla liberalizzazione dei mercati dei capitali, e senza considerare l’aumento dell’instabilità internazionale che ciò avrebbe provocato, questi attori si sono concentrati più sugli interessi americani piuttosto che sulle conseguenze di questi processi sui paesi poveri. Il risultato di tutto ciò, secondo Stiglitz, è stato che i paesi poveri hanno fornito il supporto finanziario al deficit statunitense; mentre gli USA, incapaci di vivere in proporzione ai propri mezzi e predicando in tutto il mondo la liberalizzazione dei mercati (dei cervelli, dei capitali, del commercio) gestiscono l’economia interna in maniera esattamente opposta: protezionismo, nazionalizzazione delle imprese in crisi, protezione dei brevetti (si pensi alle case farmaceutiche), ecc. Possiamo dunque concludere che il modello di sviluppo prevalente è caratterizzato da dinamiche di esclusione sociale e di violenza legate alla competizione per il successo di alcuni a scapito di altri.

Luciano Carrino (2005) distingue le diverse qualità dello sviluppo, in modo da poter scegliere tra quello “buono” e quello “cattivo”. Per fare questo, mette lo sviluppo in relazione alla sua capacità di soddisfare i bisogni umani. Lo si ritiene cattivo (come che prevale attualmente) se punta a soddisfare solo i bisogni di una parte della popolazione, lasciando gli altri nella frustrazione e nell’insicurezza, o se offre soluzioni che possono danneggiare la salute, creare odio e violenza, minare la coesione sociale o distruggere irreparabilmente le risorse ambientali. Al contrario, abbiamo uno sviluppo “buono” (o meglio, lo avremmo, se prevalesse lo sviluppo umano) quando non si crea emarginazione o esclusione, quando si cerca di rispondere in maniera adeguata ai bisogni di tutti, quando il benessere degli individui e la collaborazione pacifica tra gli attori sociali e i governi sono incoraggiati: lo sviluppo “buono” aumenta le risorse collettive e la diversificazione delle risposte materiali e culturali ai bisogni, scegliendo forme d’azione che valorizzano il patrimonio ambientale, culturale e storico.

Il tipo di sviluppo, basato sulle azioni di individui e di gruppi che si ritengono un élite, è proprio quello che il programma dei Millennium Development Goals delle Nazioni Unite si propone di superare a causa delle sue conseguenze distruttive per la vita sociale: povertà, conflitti violenti, degrado ambientale, malattie, ignoranza, mancanza di rispetto dei diritti umani.

Lo sviluppo locale

Nell'attuale fase del processo di globalizzazione la questione dello sviluppo locale può essere analizzata da due diverse prospettive.

Da un lato, non è difficile dimostrare che lo sviluppo locale inizia sempre in un luogo (o in diversi luoghi, ma mai nello stesso momento), è un fenomeno path-dependent che si evolve nel corso del tempo, è un processo essenzialmente endogeno (nonostante la sua base materiale possa essere esogena), decentralizzato, ed è sempre caratterizzato da una dinamica di tipo capillare “dal basso verso l'alto e dal centro verso l'esterno”. Questo tipo di sviluppo locale produrrà, alla fine, come funzione della dialettica territoriale e della modernità stessa, una mappa di sviluppo che è raramente uniforme ma che solitamente si presenta come un arcipelago o che, portata agli estremi, riflette la dicotomia centro/periferia. Le risorse locali sono la fonte principale di occupazione e reddito. Frutta, verdure o pesci locali, che vivono e crescono in un ambiente diversificato e perciò unico, forniscono a tutta la popolazione del mondo diverse tipologie di alimenti, ciascuno con la sua propria identità e per questo in competizione con gli altri. D’altro lato, queste materie prime si possono trasformare in medicine naturali, conserve, e così via, che creano valore economico aggiunto dando vita a piccole imprese locali e creando possibilità di occupazione.

Quando cresce la capacità degli attori locali di organizzarsi e lavorare insieme in catene di valore, di aumentare il volume e la qualità dei prodotti, di commercializzarli (non in quanto tali, ma perché provengono da una località specifica che ne ha reso possibile la produzione), crescono anche le possibilità di trovare lavoro e di generare reddito: in questo modo, si può evitare di ricorrere agli investimenti stranieri diretti, che hanno il solo scopo di arricchire coloro che li fanno, e che generalmente non sono interessati allo sviluppo locale sostenibile. Questo processo, organizzato in un arcipelago di dinamiche locali, concorre allo sviluppo nazionale - quando i governi siano in grado di orientarlo, armonizzarlo e sostenerlo - e al benessere dell’umanità - quando offre possibilità di scelta di prodotti e servizi diversificati e di qualità.

Allo stesso tempo, le crisi globali contemporanee - come la crescente povertà, il degrado ambientale, la diminuzione delle risorse energetiche tradizionali, la diminuzione e l'abbassamento qualitativo delle risorse alimentari mondiali concomitanti ad un aumento dei prezzi che mette a rischio la sopravvivenza delle persone - hanno bisogno di nuove e più efficaci risposte. Non è forse vero che a livello locale è possibile creare più opportunità di lavoro e di benessere favorendo e non boicottando le risorse locali - quelle che appartengono a vecchie culture e tradizioni - che le popolazioni locali sanno riprodurre con efficacia ed efficienza? Non è forse vero che a livello locale, attraverso la partecipazione diretta dei cittadini, è possibile proteggere meglio l'ambiente dai rischi e dalle contaminazioni, e promuovere attività di forte valenza economica?

Vandana Shiva ci ricorda che oggi la maggior parte delle persone che coltivano per la sussitenza muoiono di fame, mentre un tempo avevano sempre scorte di cibo anche nei momenti difficili. La fame è diventata un problema strutturale perché tutta la produzione viene acquistata dalle grandi multinazionali e i piccoli contadini non riescono ad acquistare quasi nulla sul mercato. Shiva afferma perciò che la biodiversità è la risposta più flessibile alle emergenze climatiche grazie alla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti (Corona 2008). Esistono milioni di piante, la risposta più adeguata alla fame, sempre che siano coltivate là dove sono nate e secondo la sapienza delle popolazioni locali. Finora, tuttavia, la pressione messa sui piccoli contadini affinché coltivino nuove varietà migliorate e ad allevino nuove razze di bestiame ha provocato l’abbandono di molte varietà locali e tradizionali che rischiano di estinguersi, e l’uso massiccio di pesticidi e di altri prodotti chimici ha causato un serio degrado ambientale e messo in pericolo la salute pubblica.

Il concime animale e altri residui di colture possono essere conservati in contenitori ermetici chiamati “digestori”: producono così biogas che può essere usato per il riscaldamento, per cucinare e per molti altri scopi, risolvendo contemporaneamente anche il problema dell’inquinamento prodotto dal letame stesso. A livello locale si possono coltivare piante che producono combustibile liquido, il cosiddetto bio-combustibile. Pannelli solari, piccoli impianti idroelettrici, turbine eoliche, possono trasformare direttamente la luce del sole, l’acqua e il vento in elettricità; e questo può essere fatto su una scala molto ridotta in modo che le comunità possano gestire da sole l’energia per uso locale, senza usare carburanti o inquinare l’ambiente.

In questo modo lo sviluppo locale contribuisce sia allo sviluppo globale che a creare opportunità per rispondere ai bisogni dell’umanità (vedi fig. 1). Vazquez Barquero et al. (2001) sottolineano che lo sviluppo locale nel processo di globalizzazione è una conseguenza diretta della capacità degli attori locali e della società di organizzarsi e di mobilitarsi sulla base del loro potenziale e della loro matrice culturale, così da definire i loro obbiettivi, valutare le priorità ed esplorare le caratteristiche endogene per aumentare la competitività in un contesto di cambiamento rapido e di ampia portata.

Fig 1. Sviluppo locale e sviluppo globale

Contributo allo sviluppo globale Risposte alla crisi globale

La natura endogena dei processi di cambiamento territoriale dovrebbe essere intesa come un fenomeno che opera su almeno quattro livelli che si intersecano e si influenzano tra loro. Innanzitutto, l'endogeneità si riferisce, o avviene, a livello politico, dove viene identificata come la crescente capacità di prendere, a livello locale, decisioni importanti sulle diverse opzioni di sviluppo, sui suoi diversi stili e sull'uso di strumenti corrispondenti: ovvero, la capacità di progettare ed attuare le politiche di sviluppo e, soprattutto, la capacità di negoziare sugli elementi che definiscono il contesto locale. Dietro questa capacità, ci deve necessariamente essere un accordo politico che favorisca la decentralizzazione.

In secondo luogo, l'endogeneità esiste anche a livello economico, laddove fa riferimento all'appropriazione e al reinvestimento a livello locale di parte del surplus al fine di diversificare l'economia locale e a fornirle allo stesso tempo una base permanente di sostenibilità a lungo termine. A livello economico, rendere endogena la crescita locale implica di fatto cercare di riconciliare gli obbiettivi strategici locali a lungo termine con le strategie a lungo termine del capitale straniero presente in quell'area.

Terzo, l'endogeneità viene interpretata, a livello scientifico e tecnologico, come la capacità interna di un sistema – in questo caso, un territorio organizzato – di crearsi il proprio motore tecnologico, in grado di produrre cambiamenti qualitativi del sistema stesso.

Quarto, l'endogeneità esiste anche a livello culturale, come una sorta di matrice che genera identità e adesione a livello socio-territoriale, ora considerate di importanza fondamentale per uno sviluppo reale. La cultura locale, recuperata o di nuova creazione, richiede una retorica collettiva aristotelica: ethos, pathos e logos.
Si può affermare che la globalizzazione, come processo che simultaneamente tenta di formare uno spazio solo per la commercializzazione e multipli luoghi di produzione, contiene al suo interno forze che promuovono la diffusione locale dei segmenti delle diverse catene di valore, allo stesso tempo dando vita a forze che promuovono non solo la decentralizzazione, ma anche centralizzazione e concentrazione. Data questa combinazione di effetti, si può dire che se certamente la globalizzazione stimola processi di crescita locale, la creazione di processi fortemente endogeni di cambiamento sociale stimolati dalla globalizzazione dipenderà dalle dialettiche in gioco. Questo a sua volta sarà legato alla devoluzione di capacità e di aree di autorità che le richieste di competitività tenderanno a far ricadere sullo Stato.

Chiaramente, per stimolare processi di sviluppo economico finalizzati al benessere dell’umanità, la base economica locale e il suo potenziale endogeno sono le condizioni necessarie, ma non certo sufficienti, soprattutto se la variabile da prendere in considerazione riguarda la sostenibilità di tali processi.

La sostenibilità necessariamente comprende:
- la garanzia di un impatto continuo e permanente nel tempo dei processi di sviluppo locale sul territorio preso in considerazione;
- la capacità di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali e il loro sviluppo umano, secondo l’accezione delle Nazioni Unite.

La sostenibilità nel tempo
Perché i processi di sviluppo mantengano i propri risultati nel corso del tempo è importante che siano sostenibili da un punto di vista economico, sociale, istituzionale e ambientale. Per esempio può succedere che i contadini siano abituati a coltivare cotone o papaya, ma o il mercato non richiede più quel tipo di cotone o le papaya della nazione confinante è molto migliore: questo rende quelle risorse economicamente insostenibili e provoca il bisogno di riconvertire la produzione. Oppure può accadere che il processo di sviluppo sia circoscritto ad una certa area urbana ed escluda la popolazione rurale della provincia circostante: questo può provocare una frattura nel tessuto sociale, che spesso si traduce in conflitto e determina una crisi economica e sociale. Può anche succedere che i piani di sviluppo locale siano in contrasto con le politiche nazionali, e per questo rimangano senza le risorse tecniche ed economiche necessarie per il supporto alle strategie territoriali: in questo caso c’è una carenza di sostenibilità istituzionale, che deve essere ristabilita attraverso il dialogo e la concertazione tra il livello locale e quello centrale, affinché tutti possano beneficiarne.

La sostenibilità in termini di sviluppo umano
L’economia non è il fine principale dell’attività umana, ma solo il mezzo per raggiungere migliori condizioni di benessere.

Amartya Sen (2000) pone alla base del benessere la nozione dei “funzionamenti”, che rappresentano i risultati acquisiti da un individuo sul piano fisico ed intellettivo, come la salute, la nutrizione, la longevità, l'istruzione, ecc., e non quelli acquisiti attraverso il reddito. Sen propone poi il concetto di “capacità”: mentre i funzionamenti rappresentano le acquisizioni effettive di un individuo e sono fondamentali per il benessere, le capacità rappresentano le acquisizioni potenziali, e sono la base per la libertà - intesa come libertà di fare e di essere. Sen sostiene una visione della libertà come abilità concreta di fare qualcosa e di essere qualcuno, in opposizione a un concetto negativo, che intende la libertà come assenza di impedimenti formali. Un disabile che intende raggiungere un edificio pubblico è senz’altro negativamente libero di accedervi, nel senso che nessuno glielo vieta legalmente, ma sicuramente è positivamente non-libero (cioè concretamente incapace), se sono presenti barriere architettoniche. Lo stesso accade per un povero in cerca di occupazione: nessuno gli nega la possibilità di ottenere un lavoro, ma il fatto è che lui non è in grado di trovarlo: è un incapace economico!

Non c'è dubbio che entrambi le dimensioni della sostenibilità si riferiscano ai processi di sviluppo, piuttosto che ai risultati tangibili che derivano da essi (occupazione, riduzione della povertà, reddito, attività economiche e sociali, ecc.), e quindi alle capacità di sostenere, mantenere, amalgamare, innovare, collegare all'esterno tali processi, allo scopo di elaborare le risposte più adeguate a fronte dei cambiamenti di contesto interni ed esterni (crisi, disastri, modifiche nei bisogni, nei mercati e nelle tecnologie, evoluzione del mercato del lavoro, ecc.). Una buona politica per lo sviluppo umano è pertanto quella che costruisce o rafforza tali capacità, attraverso strumenti specifici.

Strategie e strumenti per la sostenibilità: l’esperienza dei Programmi di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite

Fin dagli inizi degli anni ’90, i programmi di cooperazione internazionale delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Umano[3] hanno prima sperimentato e poi consolidato strategie e strumenti per lo sviluppo territoriale in America Latina e nei paesi caraibici, in Africa, nei Balcani e in Asia.

Le strategie per lo sviluppo economico locale
Le strategie di sviluppo territoriale sostenibile si sono sempre basate, nel caso dei programmi di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite, sulla creazione e il rafforzamento del capitale relazionale territoriale, attraverso partenariati locali, che determinano le strategie, le priorità e le finalità dello sviluppo socio-economico. Questo capitale relazionale si è formato a partire dai gruppi di lavoro dei programmi di cooperazione, che decidono la pianificazione e poi continuano a lavorare insieme o all’interno delle agenzie di sviluppo locale o di patti territoriali o di comitati locali per lo sviluppo.

Allo scopo di perseguire la sostenibilità economica, sociale e ambientale, i programmi di Sviluppo Umano, attraverso il network ILSLEDA (International Links and Services for Local Economic Development Actions) hanno sviluppato il concetto di competitività sostenibile. Ciò implica che nelle decisioni sulle priorità di investimento e di sviluppo economico gli attori locali prendano in considerazione tre elementi: la competitività, la territorialità e la sostenibilità. La competitività è fondamentale, perchè non c’è sviluppo senza un mercato per i prodotti o i servizi e la possibilità di mantenere o aumentare il livello delle vendite; la territorialità è a sua volta essenziale, perché i territori sono sempre più in competizione tra loro, mentre le imprese individuali lo sono sempre meno, grazie ad un insieme di fattori che un territorio riesce a valorizzare (produzione di scala, innovazione, transazioni, servizi tangibili e non); la sostenibilità è importante per la sua capacità di mantenere e migliorare le variabili di competitività e il suo vantaggio competitivo a livello territoriale.

In questo quadro si inseriscono le strategie di sviluppo dell'economia sociale e dell'economia solidaria, intese come forme economiche che riconoscono esplicitamente la dimensione etica e sociale e che offrono prodotti e servizi difficilmente acquisibili attraverso il mercato convenzionale. L’economia sociale raggruppa imprese private democraticamente amministrate che operano per l’utilità sociale in relazione sia alla domanda di lavoro (per le persone svantaggiate) sia all’offerta di prodotti e servizi che rispondono a bisogni insoddisfatti e i cui utili non vanno probabilmente a vantaggio dei proprietari.

Nelle forme di economia solidaria c’è sempre un riavvicinamento fra fini e mezzi della produzione, attraverso imprese a finalità etica, che ricompongono i vari elementi di un progetto di sviluppo, integrandoli in modelli socioeconomici alternativi: dall'agricoltura all'alimentazione, alla cura dell'ambiente, della città, degli spazi pubblici, alla produzione di beni e servizi pubblici, allo commercio equo e solidale, ai sistemi e reti di scambio locale non monetario, al riconoscimento delle diversità delle culture, delle produzioni e degli stili di vita, peculiari a ogni luogo (Magnaghi 2004).

L’esperienza dei programmi di Sviluppo Umano ha dimostrato che una strategia di sviluppo territoriale può avere un grado di successo molto maggiore se è connessa a politiche nazionali di sostegno allo sviluppo locale. Tali politiche possono tradursi in meccanismi di coordinamento tra differenti settori a favore dello sviluppo territoriale, in incentivi all’innovazione, all’occupazione, alla piccola imprenditoria locale e femminile, in programmi di accesso alla formazione continua, nella promozione di reti nazionali delle esperienze e degli strumenti locali. La connessione locale-nazionale contribuisce, inoltre, alle politiche stesse di sviluppo nazionale, grazie allo scambio capillare di informazioni e alla possibilità di armonizzare i processi.

Gli strumenti per costruire e rafforzare capacità

Uno degli strumenti più efficaci per promuovere in maniera sostenibile i processi di sviluppo territoriale sono le Agenzie di Sviluppo. Le Agenzie di Sviluppo Economico Locale (ASEL) sono organismi no-profit legalmente riconosciuti, proprietà di entità pubbliche, private e sociali basate sul territorio. Attraverso le ASEL, gli attori locali pianificano ed implementano, in maniera condivisa, iniziative per lo sviluppo economico territoriale, identificano i mezzi più appropriati per la loro realizzazione ed elaborano un sistema coerente per il loro supporto tecnico e finanziario. Attualmente, ci sono 60 agenzie con queste caratteristiche che sono operative in diversi paesi dell’America Latina, dell’Africa e dell’Europa dell’est, tutte riunite nel network ILS LEDA.

Fig. 2

L’obiettivo principale delle ASEL (i cui servizi principali sono illustrati nella figura 2) è quello di creare valore aggiunto a livello territoriale e di incentivare l’inclusione sociale, attraverso la produzione industriale a partire dalle materie prime, il turismo, l’estrazione di risorse naturali, attività economiche legate alla cultura e all’ambiente locale, in modo da aiutare le persone più economicamente svantaggiate ad inserirsi nell’economia mainstream.

Le catene di valore
Il rischio di crisi delle economie locali è minore quando esse sono legate a due fattori: uno e’ la capacità di condividere strategie e priorità sulle quali concentrare le scarse risorse a disposizione - a loro volta basate sulla valorizzazione delle risorse territoriali, ed il secondo è la capacità di costruire reti di affari e di servizi di supporto ad essi, che realizzino economie di aggregazione (scambi di prodotti e di conoscenze all’interno della rete e servizi comuni, dalla formazione, alla commercializzazione, all’innovazione).

Un contadino che produce frutta e verdura, e che poi vende insieme agli altri contadini dell’area i suoi prodotti direttamente ai consumatori o a imprese locali di trasformazione vede ha senz’altro un rischio minore di rimanere senza reddito: anzi, le sue possibilità di vendita aumentano, soprattutto se frutta e verdura prodotti tipici dell’area e riconosciuti come tali. Un piccolo forno, inserito nella catena del valore turistico (il paniere di beni e servizi locali a disposizione per i turisti) ha opportunità di sostenersi molto maggiori che non quello che vende solamente ai consumatori locali. Tutto ciò si traduce nella creazione di catene di valore territoriale, reti di imprese e attività, ciascuna delle quali aggiunge valore ai prodotti iniziali e intermedi e rende maggiormente competitiva la risorsa che si vuole valorizzare. I poveri, in questo ambito, hanno molte più occasioni di inclusione nel mercato del lavoro locale, anche quando vogliano creare piccole attività imprenditoriali, perché sono parte attiva di un sistema integrato di offerta economica.

Il marketing territoriale
Come sostiene Boisier (2003), i territori hanno una necessità imperativa di essere “differenti” allo scopo di promuovere le loro risorse o di attrarre risorse aggiuntive dall’esterno. Soprattutto per quelle aree in cui gli attori locali non hanno abbastanza risorse per promuovere se stessi in maniera autonoma, la necessità di presentare un’offerta integrata che ottimizzi le componenti tangibili e intangibili del territorio (vedi figura 3), diventa “imperativa” ai fini dello sviluppo endogeno.

Fig. 3

Ciò si traduce nella pianificazione di strategie di marketing territoriale le quali, attorno ad un valore simbolico unificante, che definisce le caratteristiche del territorio (l’acqua, il sole, la cultura, il patrimonio storico, la tolleranza, la capacità imprenditoriale o lavorativa, una risorsa agricola, etc.), permettono di qualificare l’immagine di quell’area e di comunicarla all’esterno (attraverso pubblicità, propaganda, relazioni pubbliche, direct marketing ed eventi ad hoc).

I sistemi territoriali per l’innovazione
I processi di conoscenza e apprendimento sono fondamentali per la crescita degli individui, delle organizzazioni, delle imprese e dei territori (Canzanelli, Loffredo 2007). Nel nuovo approccio dell’“economia della conoscenza”, l’innovazione è condizionata da diversi fattori, sia di natura socio-culturale che tecnico-economica, che possono influenzare le diverse fasi del progetto, dalla produzione di nuova conoscenza alla sua applicazione pratica e commercializzazione. L’innovazione è un processo collettivo e interattivo, che non può avvenire al di fuori di una dimensione sistemica e fortemente territorializzata che lo favorisce in virtù della vicinanza territoriale. In questo scenario, i network locali organizzati sono particolarmente importanti: per esempio le ASEL, in collaborazione con le università, gli istituti di ricerca e le istituzioni, possono guidare i sistemi di innovazione locale, incoraggiando il processo continuo di apprendimento collettivo/interattivo, sia tra gli stakeholders locali che tra questi e il mondo esterno.

Ma l’innovazione non è nient’altro che uno strumento da utilizzarsi per migliorare la qualità della vita e, in quanto tale, risponde ad una visione e ad una strategia condivisa dagli attori locali, che usano la multi-dimensionalità e la territorialità come paradigmi indispensabili per l’azione e il successo, anche se sono necessariamente legati ad azioni a dimensione nazionale ed internazionale sia nella produzione di conoscenza e di esperienza, che nelle politiche per migliorare la condizione umana.

L’innovazione dovrà quindi essere orientata, da un lato, ad incoraggiare sistemi di innovazione locale, orientati all’apprendimento collettivo e, dall’altro lato, operare simultaneamente su più fronti, al fine di:
- migliorare il potenziale competitivo, sia nelle imprese che nelle pubbliche amministrazioni;
- migliorare l’accesso ai servizi sociali e all’economia da parte delle popolazioni svantaggiate;
- promuovere i processi partecipativi;
- migliorare la qualità della vita in termini di salute, facilità di accesso, sicurezza fisica e alimentare, utilizzo del tempo, ecc;
- incoraggiare la creazione e la diffusione delle stesse innovazioni.

La formazione continua
Le risorse umane sono fondamentali per garantire il successo delle politiche di sviluppo. Senza agenti di sviluppo o pianificatori qualificati, imprenditori, professionisti qualificati nel settore dell'economia territoriale, amministratori onesti, promotori intelligenti, analisti territoriali, e via dicendo, è più difficile sostenere i processi di sviluppo. Dall’altro lato tali competenze vanno continuamente aggiornate in funzione delle traiettorie tracciate dallo sviluppo locale internazionalizzato e delle nuove tecnologie disponibili. Il ruolo della formazione è quindi cruciale ed è cruciale un collegamento stretto tra i luoghi della formazione e quelli della pratica, attraverso un lavoro comune di progettazione dei percorsi formativi e delle modalità di formazione, come incontro tra domanda e offerta, bisogni e prospettive.

La stessa educazione primaria e secondaria dovrebbe riflettere le culture e quella che abbiamo chiamato la personalità, lo spirito del luogo, al fine di rafforzarne gli elementi di appartenenza e cittadinanza attiva, fondamentali per le politiche di sviluppo economico. La formazione degli adulti dovrebbe rispondere alle strategie di sviluppo concordate, per diventarne uno strumento insostituibile.

I partenariati internazionali
E’ molto difficile per le economie deboli affrontare le sfide della globalizzazione e internazionalizzarsi. Un modo efficace è quello di cercare alleanze strategiche con altre aree (del Sud e del Nord) interessate in progetti e processi di co-sviluppo, sia settoriali che intersettoriali. Queste iniziative possono interessare attività di scambi tecnologici e commerciali, accordi tra catene di valore simili o complementari, progetti di cooperazione tecnica per il co-sviluppo, rafforzamento delle capacità reciproche, ecc.

Un accordo a due livelli è sempre stato uno dei fattori di successo di tali partenariati: un livello politico-istituzionale tra le amministrazioni locali dei due territori, per assicurare la sostenibilità nel tempo e l’appoggio istituzionale, e un livello di “implementazione”, con la presenza di strutture, come le agenzie di sviluppo, i patti territoriali, i gruppi di azione locale o i parchi tematici, capaci di concretizzare le attività operative.

Gli strumenti qui descritti possono, dunque, rafforzare le capacità degli attori locali nel perseguire le strategie prima menzionate, secondo lo schema proposto nella figura 4.

Fig. 4 Strategie, capacità e strumenti per lo sviluppo economico territoriale umano

Strategie Led Process Capacità
INSTRUMENTS
ASEL Catene di valore Marketing territoriale Innovazione Formazione Partnership internazionali
Governance democratica   Per sostenere i processi
 +
 +
 o
 +
 +
 +
Partnership locali   Per integrare i processi
 +
 +
 +
 o
 +
 o
Competitività sostenibile delle risorse endogene   Per innovare i processi
 +
 +
 o
 +
 o
 o
Economia sociale e solidaria   Per formare le capacità
 +
 o
 o
 +
 +
 +
Politiche nazionali   Per collegare i processi
 +
 o
 +
 o
 o
 +

(+) in maniera molto determinante


Riferimenti bibliografici
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Storper M. (1997) The Regional World: Territorial Development in a Global Economy. New York: The Guilford Press
Stiglitz J. (2003) The Roaring Nineties: A New History of the World’s Most Prosperous Decade. New York: W.W. Norton & Company


* Sergio Boisier, cileno, economista, è Presidente Esecutivo del Centro de Anacción Territorio y Sociedad (CATS), un’impresa di consulenza privata.

Giancarlo Canzanelli è coordinatore di ART ILS LEDA, UNDP/UNOPS, Italia.

1. Ad esempio, Froebel, Heinrichs e Kreye; Henderson e Castells; Amin e Robbins.

2. Come Piore e Sabel; Porter, Scott e Storpel; Stöhr, Vásquez-Barquero, Garofoli, Cuadrado-Roura e molti esperti dall’America Latina – inclusi i due autori di questo articolo – e dal Sud del mondo in generale.

3. Questi programmi hanno assunto diverse sigle: Prodere, Programmi di sviluppo umano a livello locale (PDHL), Appi, fino all’attuale ART (Appoggio a Reti Tematiche e Territoriali).

Universitas Forum, Vol. 1, No. 1, December 2008





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