Silvia Koch - Universitas Forum, Vol. 1, No. 2, May 2009
RECENSIONI
La sfida della fame 2008.
Indice globale della fame

K. von Grebmer, H. Fritschel, B. Nestorova, T. Olofinbiyi, R. Pandya-Lorch, Y. Yohannes
Bonn, Washington D.C., Dublin: Welthungerhilfe, International Food Policy Research Institute, Concern Worldwide



Silvia Koch *

Fame e povert sono strettamente connesse e insieme generano un graduale peggioramento delle condizioni di vita. questa la tesi centrale del terzo rapporto annuale pubblicato da International Food Policy Research Institute (IFPRI), Welthungerhilfe e Concern Worldwide[1]. La povert limita laccesso alle risorse alimentari, con conseguenze gravi sullo sviluppo fisico e intellettuale, nonch sulla produttivit degli individui interessati; a sua volta, labbassamento della qualit del lavoro contribuisce ad accelerarne limpoverimento.

Facendo uso del Global Hunger Index (GHI), una sintesi di tre indicatori quali il numero di individui malnutriti sul totale della popolazione, la percentuale di bambini sottopeso e il tasso di mortalit infantile, lIFPRI analizza i dati di 120 paesi dellAsia, Africa sub-sahariana, Sud America e Caraibi e identifica 33 paesi come colpiti da livelli di fame allarmanti o estremamente allarmanti. Sulla base dei diversi livelli di GHI rilevati[2], il rapporto indica i paesi a rischio, 88 secondo le stime pi recenti (formulate in base a dati raccolti fra il 2001 e il 2006).

LAfrica sub-sahariana e lAsia meridionale e orientale rappresentano le aree in cui la situazione pi drammatica, con paesi quali la Repubblica Democratica del Congo, lEritrea, il Burundi, il Niger, la Sierra Leone, la Liberia, lEtiopia e la Corea del Nord in testa. In Asia il problema centrale costituito dalla malnutrizione dei bambini, mentre gli alti livelli di GHI registrati in Africa sono riconducibili alla diffusa mortalit infantile.

importante sottolineare anche che nei ventanni trascorsi dal 1990 (anno in cui per la prima volta stato calcolato il GHI) numerosi paesi come Messico, Brasile, Per, Kuwait, Siria, Turchia, Vietnam, Thailandia e Iran - hanno migliorato notevolmente la propria situazione, passando da livelli anche gravi di povert a situazioni moderate o addirittura caratterizzate da assenza di fame.

Il dibattito accademico e politico sulla lotta alla fame si concentra sul recente aumento del prezzo degli alimenti quale causa scatenante dellulteriore impoverimento che ha interessato diversi paesi. Questo dovuto a diversi fattori: le speculazioni finanziarie sulle relazioni commerciali, lo scarso investimento nel settore agricolo, lincremento della domanda di quei biocarburanti che costituiscono una coltura in competizione con i prodotti alimentari, infine lapplicazione di misure restrittive sullesportazione. Per fornire un esempio, il surplus di domanda di bioenergie, registrato fra il 2000 e il 2007, rende conto, da solo, del 39% dellaumento del prezzo del mais e del 30% della crescita del costo dei cereali.

Non si deve trascurare, tra laltro, che il rialzo dei prezzi colpisce soprattutto le popolazioni gi disagiate, le fasce pi vulnerabili e i bambini, favorendo il riprodursi di quel circolo vizioso tra povert e fame. Larresto della crescita, la riduzione delle capacit cognitive, una maggiore predisposizione alle malattie e un incremento della percentuale di decessi sono gli effetti diretti di un calo quantitativo e qualitativo della nutrizione infantile. Vero che, dopo limpennata raggiunta nellestate 2008, i prezzi alimentari sono diminuiti leggermente, per ritornare per a crescere nel gennaio 2009. A oggi sembra comunque improbabile un nuovo calo dei prezzi, se non regolamentati dallesterno. Si pensa anzi che essi possano fluttuare e aumentare ulteriormente, nei mesi e negli anni a venire. Certo, il rialzo dei prezzi, stimolato da un tipo di commercio sempre pi svincolato da limiti giuridici, produce effetti diversi e addirittura opposti nei vari paesi, a seconda che essi siano esportatori o importatori netti di materie prime. Ma nel campione individuato dal rapporto gli importatori netti sono considerevolmente pi numerosi degli esportatori (93 i primi, solo 15 i secondi).

La ricerca delle tre organizzazioni costituisce senza dubbio uno strumento fondamentale per lelaborazione delle linee programmatiche future. Fra gli interventi di breve periodo vengono individuati una maggiore assistenza umanitaria, a opera delle specifiche agenzie nazionali; leliminazione delle restrizioni sulle esportazioni agricole; linvestimento in programmi di produzione alimentare a effetto immediato, mirati a sostenere i piccoli coltivatori; infine, una riformulazione delle politiche sui biocarburanti, finalizzata alla promozione di tecnologie energetiche non competitive per i prodotti alimentari. Come misure di lungo periodo, invece, gli autori suggeriscono una maggiore regolamentazione del mercato, volta sia eliminare le speculazioni, sia al pagamento di un prezzo equo ai piccoli produttori; lavanzamento dei negoziati del Doha Round della World Trade Organisation; il finanziamento ai paesi in difficolt delle importazioni alimentari; lintroduzione di scorte cerealicole pubbliche nazionali per far fronte ai momenti di crisi; infine, un maggiore investimento nella protezione sociale, nonch sulle infrastrutture rurali, nei servizi, nella ricerca scientifica e nellinnovazione tecnologica del settore agricolo.

Le strategie proposte dallIstituto possono riassumersi, sostanzialmente, in un rinnovamento globale delle norme che regolano gli scambi commerciali. I paesi membri del G8 e del G20 sono chiamati a interessarsi delle sorti delle altre aree geografiche, perch la loro stabilit politica ed economica dipende direttamente dal miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni pi vulnerabili. Il benessere e la sicurezza dei paesi ricchi non possono prescindere dallestinzione della fame nel mondo, da una pi equa distribuzione delle risorse, dalla condivisione delle know-how e delle responsabilit. Le cause delle carestie, delle epidemie e di buona parte delle guerre, che attraverso il fenomeno migratorio finiscono per avere conseguenze importanti anche nellOccidente industrializzato, possono essere ricondotte ai grandi squilibri della distribuzione delle risorse a livello mondiale.

Daltra parte, per, se vero che il protagonismo degli attori del Nord essenziale alla rinascita del Sud, questo presuppone una presa di coscienza, da parte degli Stati occidentali, riguardo alle piaghe che affliggono il resto del mondo. Il Nord industrializzato non pu e non deve accontentarsi di delegare alle associazioni locali lintervento nelle situazioni di emergenza.

Inoltre, le attivit promosse dalle ONG, dai soggetti privati e dalla societ civile locale e internazionale, che pure costituiscono un valido contributo nella lotta alla fame, non dovrebbero sostituire limpegno istituzionale, ancora troppo debole.

Lattuale crisi economica ha provocato, invece, sia una riduzione consistente delle rimesse[3] degli immigrati, sia un drastico calo dei fondi devoluti da molti Stati, fra i quali lItalia[4], alla cooperazione. La recessione ha effetti significativi sul sistema produttivo e commerciale, nonostante le sue cause siano legate, per lo pi, alla speculazione finanziaria ed esterne, dunque, alla dimensione reale delleconomia[5]. I paesi meno integrati nel circuito monetario mondiale sono stati doppiamente colpiti dal crollo del sistema capitalistico, non avendo goduto in passato dei benefici della crescita e restando esclusi, oggi, anche dalle politiche mirate al risanamento dalla crisi.

Anche laumento del costo dei generi alimentari, menzionato sopra, influisce negativamente sullimpatto degli aiuti ai paesi in via di sviluppo: rispetto agli anni passati, con una medesima somma i donatori possono acquistare un volume molto inferiore di derrate. La politica dei tagli alla cooperazione non pu costituire una valida soluzione allemergenza della crisi. Il sostegno economico dei paesi poveri, in particolare del settore agricolo, associato a una regolamentazione rigorosa ed equa dei mercati. deve essere percepito, invece, come un investimento necessario per il futuro del nostro pianeta.

Questa nuova visione del dramma che affligge una parte della popolazione, quale male di tutta lumanit, il contributo fondamentale apportato da questo rapporto alle relazioni internazionali. La speranza che possa ispirare le strategie adottate dagli attuali governi nella comune battaglia contro la povert.


* Silvia Koch laureata in Cooperazione e sviluppo locale e internazionale allUniversit di Bologna e ha frequentato la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso di Roma. Collabora con il Centro di Documentazione della Radio Vaticana.

1. La traduzione italiana del rapporto, cui questo testo fa riferimento, stata curata da Link 2007, ed stata presentata il 12 marzo 2009 nella sede della Provincia di Roma. La versione originale del rapporto scaricabile da http://www.ifpri.org/pubs/cp/ghi08.asp#dl

2. Dal GHI pi basso (condizione migliore) al pi elevato: assenza di fame - moderato - grave - allarmante - estremamente allarmante.

3. Ad esempio in Kenya si sarebbe registrato, per i mesi di febbraio-marzo 2009, un calo del 300% delle rimesse inviate nello stesso periodo del 2008.

4. Per il 2009 i fondi devoluti alla cooperazione hanno raggiunto minimi storici: appena lo 0,1% del PIL (che, in un momento di recessione economica, di calo del PIL complessivo e di svalutazione delleuro, rappresenta una cifra ancora pi modica). Per il 2011 stata prevista, a livello teorico, lassegnazione dello 0,7%.

5. Inoltre, in molti paesi industrializzati la riduzione dei fondi messi a disposizione dagli Stati stata annunciata prima del giugno 2008, dunque prima dello scoppio della crisi.

Universitas Forum, Vol. 1, No. 2, May 2009





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